Settimana difficile alla Kay Pè Giuss.

Mentre il paese diventa terra di nessuno in cui a causa del caos politico ognuno può fare quello che vuole, la violenza ed il sopruso dilagano.Gli ospedali sono in sciopero ormai da mesi e quelli che lavorano chiedono tanti soldi anche solo per essere accolti.

Gli ospedali sono in sciopero ormai da mesi e quelli che lavorano chiedono tanti soldi anche solo per essere accolti. Così puoi partire dalla Kay alla cinque di pomeriggio con il piccolo Jonelson arrivato da poche settimane in condizioni di denutrizione gravissime e sentirti dire, dopo ore di attesa, che non c’è posto, quando si sa benissimo la politica dell’ospedale di non accettare bambini legati a bianchi perché ritenuti già fortunati!!! Si torna a casa con la certezza che il Destino buono preparato per questo bambino si compirà comunque al di là di ogni stupidità umana. E poi l’ agghiacciante notizia della morte del piccolo Joseph, il bambino che avevamo trovato in strada e che la nostra Roseline aveva deciso di accogliere in casa con suo marito. Stava crescendo bene e poi, all’ improvviso una battuta di arresto: la febbre alta, non vuole il biberon, perde peso, la visita pediatrica, le analisi…. AIDS e tubercolosi sviluppati nei pochi mesi che è rimasto con noi. Il ricovero in ospedale, la Roseline che gli sta accanto giorno e notte, la Kay che si dà da fare perché la sua assenza non pesi sull’ andamento delle cose. E poi improvvisa, la morte arriva ed il piccolo Joseph vola in cielo dopo aver portato a termine il suo compito che forse era proprio quello di accendere una scintilla di umanità nuova alla kay.

Venerdì se n’era andato anche Djeri, un bimbo di pochi mesi idrocefalo nato in strada e vissuto in strada fino a quando poche settimane fa la sua mamma aveva deciso di portarcelo in cerca di una speranza. Le donne che si occupano di bebè mi chiedono di non prendere più bambini gravi perché non possono vederli morire così, ma io racconto loro di cosa significhi accogliere, della gratuità del gesto di accoglienza che non mette regole né misure, che è libera, che nasce dal cuore del buon Dio e che può esserci chiesto anche solo di accompagnare questi bimbi in un tratto di strada, non con la pretesa di risolvere i loro problemi, ma con il desiderio di camminare insieme verso il Destino per ritrovarci poi un giorno davanti a quel Destino e cantarne la Gloria.

E lunedì… lunedì notte…. il cuore vacilla, cinquanta, sessanta persone armate e con i volti coperti fanno irruzione in Waf. Di colpo il silenzio, la fuga, la paura. Le baracche si chiudono, i canti notturni smettono, i bambini spariscono. Anche la kay in pochi minuti è nel buio, cosa inusuale a quell’ora quando mille vocine si rincorrono per il giardino o rallegrano le casette nei mille riti di preparazione della notte. Invece in pochi minuti tutti nei lettini, molti cadono addormentati in fretta, le donne si piegano sotto i tavoli, si spengono le luci. Si comincia a sparare. Poi corse, fughe, cadute, spari, urla, buio, paura.

Anch’io mi rifugio sotto la scrivania e aspetto di capire cosa sta succedendo. Cerco di comunicare con i guardiani che mi spiegano che il vecchio capo banda uscito sconfitto un anno e mezzo fa è tornato e vuole riprendere il territorio eliminando chi lo ha tradito schierandosi dalla parte del nuovo capo. Un notte tremenda, una notte in cui vecchi conti vengono saldati, una notte in cui non sai cosa potrà succedere, una notte che lascerà dieci morti sul terreno al sorgere del sole. Una notte che non negherà la certezza del Destino Buono.

Io sono sotto la scrivania e cerco di dire il vespro anche se l’ora liturgica è passata da un pezzo. Ho paura. Questa volta ho davvero paura. Potrebbero attaccare anche noi pensando magari di trovare soldi. Ma ancora una volta il buon Dio ha un abbraccio grande. Le parole del primo salmo dicono che il Signore ci guarda in ogni istante, di non temere. E così mi rendo conto che quell’istante li’, proprio quello, mentre piegata in due sotto una scrivania cerco con la luce del telefono di dire il vespro, proprio quell’istante lì non è definito da quella paura o da quella violenza, ma è già di Un Altro perché è già guardato.

E la notte passa tra un salmo ed un pezzo del rosario e sopraggiunge il sonno. Gli spari continuano ma io mi addormento chiedendo al buon Dio che se stasera mi chiamerà a dare la vita sia per la Gloria di Cristo.

Quando il sole si alza Waf è nel silenzio. Nessuno si muove. Gli uomini armati sono seduti, stanchi della lotta, i morti caricati su furgoncini e portati chissà dove: nessuno saprà mai cosa è successo a Waf Jeremie, nessuno piangerà queste persone, nessuno spiegherà ai bimbi di Waf che c’è un Bene più grande preparato per loro. La strada è ancora inaccessibile, non posso uscire per la messa, ma il Mistero si è già manifestato e la giornata inizia.

Una settimana senza tregua, che ci vede in ginocchio, ma come diceva Jacopo questa mattina, una realtà che ti provoca una domanda ed è l’apertura a questa domanda di significato che rende la vita interessante.

Waf terra benedetta, terra dove il buon Dio è presente, dove Lo senti, Lo vedi, Lo tocchi, dipende solo dai tuoi occhi.

Ma una settimana in cui puoi partecipare ad una festa di compleanno perchè un’educatrice decide di festeggiare con le “sue” bambine: i capelli preparti, i vestiti eleganti, dolci e bibite, i canti, gli auguri. Il segno di un’umanità nuova che sta nascendo.

Una settimana che non finisce lì. Sabato pomeriggio i ragazzi che escono a buttare l’immondizia. Tutti i cassonetti della zona sono stati rimossi. Girano per la città non ne trovano. Quelli che ci sono sono presidiati da uomini armati che domandano soldi per lasciar loro svuotare il camioncino. Decidono di andare in una discarica comunale solo che non è il nostro comune.

Ancora una volta la violenza e la stupidità umana esplodono. Vengono aggrediti dalla gente, qualcuno armato usa il calcio delle armi per colpirli. Si chiama il sindaco, la polizia, il magistrato ed in poche ore Emmanuel, Pouchon e Alexandro si ritrovano umiliati e colpiti in carcere. Emmanuel chiama piangendo, dalla sua voce capisco che ha paura: tutti sanno cosa sia un carcere in Haiti. Abbiamo ragazzi che portati via per dei controlli non sono mai più tornati. Mando un avvocato per gestire il rilascio: 10.000 dollari. Gli rido in faccia. L’avvocato abbandona il terreno. Domenica chiedo aiuto a tutti ministri, forze Onu, Nunziatura…. lunedi lo staff si muove. Arrivano da me personale della scuola, della kay, della clinica, vogliono gestire loro. Haiti è per gli haitiani si dice: vogliono gestire da haitiani la cosa. Ne scelgono due, il loro lavoro quotidiano viene diviso tra gli altri. Qualcuno già sta facendo il lavoro dei ragazzi in carcere. Sono commossa e stupita da quello che sto vedendo. Le ore si susseguono. Tutti all’erta, tutti coinvolti, tutti insieme. La contrattazione. Alle tre del pomeriggio mi chiedono 500 dollari per il rilascio dei ragazzi e del mezzo. ne offro 220 ultima parola se no tenete mezzo e ragazzi. Alle 19.30 arrivano: sorridenti scortati dalle moto dei compagni. entrano alla kay saltano giù dal tap tap e corrono in ufficio a ringraziarmi. È la prima volta che qualcuno si muove per loro, capiscono che non gli era dovuto, si sentono voluti bene. Una cosa faticosa è diventata una festa, rapporti che si rinsaldano, umanità che cresce e quei germi di umanità nuova che cominciano a germogliare zitti zitti. Tutti soddisfatti, tutti li ben oltre il loro orario di lavoro come Bentà, al settimo mese di gravidanza che si carica i sacchi di immondizia per svuotare i bidoni della kay visto che i ragazzi che lo fanno di solito sono in prigione… ed era anche il suo giorno di riposo…. ma è venuta alle sette del mattino perché la Kay da oggi è anche sua.