Era arrivato ieri con la sua mamma, nel tardo pomeriggio, perchè la donna era partita a piedi da Tytanyen, la zona fuori Port au Prince, nata dopo il terremoto e cresciuta in questo ultimo anno perchè la gente che veniva mandata via dalle tendopoli della città non sapeva dove andare. Una nuova tendopoli/baraccopoli, ma decentrata, cosí chi arriva a PAP in aereo non la vede e pensa che la gente baraccata cinque anni fa oggi sia tutta sistemata. Ed  invece si è solo spostata in lande brulle, isolate, senza servizi sempre più abbandonata una volta finita l’emergenza, quando i riflettori si spengono ed i volontari se ne vanno correndo dietro ad una nuova emergenza in un’altra parte del mondo.

Ma in Haiti la gente continua a fare fatica, la vita è dura quando si hanno tanti figli e spesso non c’è un uomo con cui condividere la responsabilità e neanche un lavoro che ti aiuti a mantenerli.

Ogni giorno nel mio ufficio tante donne passano chiedendo aiuto: un lavoro, i soldi per una medicina, lasciare il loro bambino, a volte solo un piatto di riso.

La Kay Pè Giuss, ormai conosciuta fuori Waf, c’è. Non ce la faccio a dire di si a tutti, l’opera che abbiamo è grandissima, novanta persone ci lavorano, 700 bambini girano attorno a noi tra quelli accolti e quelli a scuola o all’asilo.

Penso a Pietro che mentre saliva al tempio dalla porta Bella con Giovanni a chi gli chiedeva l’elemosina  ha risposto: “Oro e argento non ne ho ma quello che ho nel nome di Cristo te lo do…”(Atti 3) ed io allora non posso dare loro se non uno sguardo nuovo, diverso, guardandoli da uomini, guardando al Destino per cui sono fatti.

Per questo oggi apriamo le porte a Judens, per guardarlo da uomo e con lui camminare verso ciò per cui siamo fatti.