Aveva due mesi, era nato il 16 gennaio, il giorno in cui io ricordo la mia partenza da casa per entrare in convento ad Assisi, una data scelta dai miei formatori: san Marcello.
Kenson nasce in una baracca di Waf Jeremie con la sua gemellina che non è mai arrivata ad avere un nome perchè muore pochi giorni dopo essere venuta al mondo e pochi giorni dopo che la loro stessa mamma è morta.
Il papà Likman arriva in lacrime alla nostra casa, teme per la vita del suo bambino, è disperato, non sa come occuparsene. Ci chiede di accoglierlo in casa. So che non siamo all’altezza è un bimbo già in stato di sofferenza, denutrito, aggrappato alla vita per un filo. Non ho personale competente in grado di occuparsene, ma l’alternativa qual è?
Le porte della kay Pe Giuss si aprono ancora e Kenson è dei nostri, fragile compagno di strada, per quanto tempo ci sarai dato?
Il giorno dopo all’ospedale per un controllo generale e la doccia fredda: Hiv positivo. Iniziano le mail a breve giro con Clotilde la nostra mitica pediatra da poco rientrata in Italia ma la situazione peggiora: Kenson perde peso, vomita, non vuole prendere il latte. Chiedo al parroco di battezzarlo e ci accordiamo per questa mattina in chiesa alle sei. Ma Kenson non ci arriva, un’ultima corsa all’ospedale dove muore tra le braccia di Safira la nostra infermiera, voluto bene fino all’ultimo nella sua piccolezza di bambino.
“Che cos’è l’uomo perchè te ne ricordi? IL figlio dell’uomo perchè Tu te ne curi? Eppure lo hai fatto poco meno degli angeli, di Gloria e di onore lo hai coronato” salutiamo il piccolo Kenson, compagno di viaggio per sempre, con le parole del salmo 8 certi che ciò che definisce il nostro piccolo amico ed il breve tratto di strada che ha fatto non è la durata della sua vita, nè la situazione in cui ha vissuto, ma il compito che ha compiuto, misterioso, sconosciuto.
Forse doveva richiamarci a ciò che definisce tutti noi anche dentro le tribolazioni che la vita comporta: l’essere di Un Altro e da questo Altro essere amati per sempre.