Tempi.it, 27 ottobre 2020 –  «Mi chiedo il motivo per cui un’esperienza di tale bellezza debba essere demolita così», confida amareggiata la missionaria francescana. «Eppure», sospira, «basterebbe venire a vedere come viviamo qui per accorgersi che questa è davvero la casa di questi bambini, siamo davvero una famiglia».

«La bellezza di quest’anno passato in Italia è la vita che Casa Lelia ha generato intorno a sé sul territorio. I tanti volontari che si sono coinvolti, qualcuno addirittura da Milano o da Novara. I rapporti che si sono costruiti. È commovente. Dalla vecchietta che ci manda il ciambellone caldo a colazione al barista che porta qui i cornetti avanzati la sera. E ancora, il macellaio che ci vende qualunque taglio di carne come bollito di scarto, facendocelo pagare un terzo di quel che costa. La maestra che va fino a Firenze per far visita al bambino haitiano ricoverato in ospedale. L’associazione dei genitori della scuola che una volta al mese viene qua con una spesona formato esercito. Quanta bellezza».

 

Il sogno dei bambini di Haiti infranto sullo scoglio della giustizia italiana