Ciao a tutti. Scusate la lunga assenza dal sito dovuta da una parte alla mia frattura scomposta di polso destro che mi ha costretto a due lunghissimi mesi di gesso dall’altra alla speranza che il nuovo sito della Fondazione Via lattea Onlus fosse ormai alle porte. Ora che la mano sta rientrando in partita e visto che i tempi per il sito non sembrano essere brevi, rieccoci con il Vilaj Italyen.

Non posso raccontarvi questi tre mesi, vi annoierei, ma posso raccontarvi come la vita sia andata avanti diventando ogni giorno più ricca e bella anche se messa alla prova da tante provocazioni.

L’ esperienza dell’ospedale haitiano mi ha fatto toccare con mano il dramma che la vita in Haiti è e continua ad essere: lunghe attese in sale d’aspetto fatiscenti o su barelle lerce, infermieri svogliati e davvero poco capaci, medici che non ti toccano se non gli presenti la ricevuta di pagamento prima. Sono stata un’ ora sul lettino con due pezzi di osso che uscivano nel dorso della mano, con il dottore che accanto a me passeggiava come niente fosse. Poi ho capito: quando ha perso la pazienza è uscito ed ha chiesto ad un’amica italiana che mi aveva raggiunto il ospedale chi pagasse per la suora.

Subito il marito si è precipitato alla cassa e solo quando è ritornato con la ricevuta di pagamento il medico ha deciso di occuparsi di me. Sul lettino accanto un giovanotto a cui era stata attaccata una flebo

subito staccata litigava con la sua assicurazione perché dall’ospedale avevano chiamato l’ufficio assicurativo per sapere se il ragazzo era coperto e siccome la risposta era stata che non era coperto, gli avevano subito staccato la flebo già messa. E chissà cosa ne è stato di lui. Io mi sono trovata a passare due mesi dentro e fuori da ospedali in cui mancava l’ anestesia per cui la riduzione della frattura è avvenuta così, a ciel sereno, o dove ti rubano le bende gessate mentre vai a fare la radiografia, o dove il dottore si dimentica dell’appuntamento e quando gli telefoni ti chiede cosa dovevi fare.

Haiti, un paese in continuo declino, dove possiamo far finta di non vedere le cose e dire che va tutto più bene, ma dove invece il dramma umano è il respiro di ogni giorno. Nelle lunghe attese sui lettini dei vari ambulatori, pensavo alla povera gente che sarebbe morta per una frattura al polso come la mia e mi sono venuti in mente i tanti papà di bambini della nostra scuola materna morti in seguito a degli incidenti anche banali a come sgridassi le mogli che non avevano saputo seguirli bene ed invece forse il problema era all’ origine: non si erano mai potuti curare.

Quando si attraversano le circostanze in prima persone ci si rende conto di tante cose.

Haiti dunque in caduta libera: i prezzi continuano ad aumentare rendendo la vita impossibile, il livello delle scuole corre verso il basso e gli ospedali meglio lasciar perdere. Un paese alla deriva, un paese solo, un paese disorientato.

In tutto questo lo splendore della Kay Pè Giuss con i suoi 140 piccoli in corsa per la vita anche se anche loro vittime del loro paese che non gli offre nula di buono e che soprattutto sembra non potergli offrire un futuro.

In questi mesi siamo andati caparbiamente avanti con il nostro progetto del campo estivo in Italia per 25 dei nostri bambini e 2 dei nostri educatori: caparbiamente perché tuto sembra remarci contro finanche la ciliegina sulla torta ieri quando ci hanno detto che sono stati persi tutti i documenti di Shedlove! Ma noi non cediamo, forse Shedlove non ce la farà ad essere del gruppo, ma abbiamo ricominciato l’ iter anche per lei. Stiamo per avere tutti i passaporti a quel punto manca solo la roulette del visto, ma noi ci crediamo e già qui si parla di aereo, di viaggi, di volti amici da rivedere e chissà…

In questi mesi poi la Kay ha accolto nuovi piccoli, Emmanuelson, Joêl, Loudiana, Saül, Wackens ed ha accompgnato in cielo Steevenson. Una porta che si apre e si chiude sulla vita e sulla morte che corrono sempre insieme e giungono all’ improvviso.

E ancora la sorpresa di un’umanità che comincia a prendere forma negli adulti che lavorano con me: sono sorpresa e stupita davanti al miracolo dell’umanità che accade. Alcuni tra i più “anziani” stanno cominciando a sentire la kay come loro ed a mettercisi dentro con una responsabilità ed una passione che vanno guardate in silenzio. Io sto passando loro sempre più responsabilità e mi commuove vedere come passo dopo passo portino avanti tutto. A me è chiesto il farmi da parte, piano piano, accompagnando, facendo sentire la mano forte che c’è ancora, ma comunicando anche tutta la fiducia e la certezza che ce la possono fare anche loro. Così è nata un’equipe responsabili: sette educatori ognuno dei quali con una responsabilità precisa nel Vilaj Italyen, ognuno dei quali capace di mettersi dentro con il cuore in questa grande avventura, ognuno dei quali giocando la faccia davanti al mondo in questa storia.  E la Kay ne guadagna: volti contenti di chi viene a lavorare, cuori impegnati con la realtà, bimbi sempre più sorridenti.

Il tutto culmina nel commovente gesto che centinaia di persone hanno fatto nel giorno in cui mi è arrivata una notifica giudiziaria in cui ero stata accusata di aver licenziato uno illegalmente ed essendo stata ritenuta colpevole dovevo pagare circa 2.000 U$ al soggetto in questione, un troglodita della prima ora. Io mi son davvero arrabbiata non tanto per il troglodita che ha un Q.I. inferiore alla media e viene quindi usato da avvocati esperti per estorcere denaro ai bianchi ma perché il sistema giudiziario dà ragione a lui contro ogni evidenza. Così ho radunato la gente ed ho detto che piuttosto che pagare lasciavo il paese. Nelle settimane successive la voce è corsa per la baraccopoli e centinaia di persone hanno cominciato a venire portando un’offerta per partecipare alla colletta che era stata indetta. Abbiamo raccolto circa 800 U$ e mancano ancora tutti gli educatori della kay che aspettano il salario di aprile per contribuire. Io intanto mi sto muovendo per vie legali sostenuta dalla Nunziatura Apostolica e dall’IBERS, il Ministero degli Affari Sociali da cui dipendiamo come orfanotrofio. Sarà una battaglia, ma a combatterla con me c’ è un popolo.

Resta il silenzio davanti al gesto ricevuto: non del troglodita che vuole rubare per l’ennesima volta, ma di un popolo che per la prima si è messo insieme per una cosa buona, per qualcosa a cui teneva.

Un missionario non potrebbe chiedere nulla di più.