Refettorio Santa Chiara

Quando dopo il terremoto del gennaio 2010 Port au Prince vive giorni di caos e paura, tutto sembra dover finire in un’immensa tragedia: la gente vaga per le strade in cerca delle persone care che non sono tornate a casa, le strade sono invase da marines, organizzazioni umanitarie, gente di buona volontà che cerca sopravvissuti ed interviene sui feriti. Non si sa bene da che parte ricominciare e quelli che erano già poveri diventano ancora più poveri e soli.
A Waf gli aiuti non arrivano: è una zona rossa anche per le truppe dell‘ONU, troppo pericoloso entrarci. Non è neanche tra le zone più colpite dal terremoto quindi, come sempre, non interessa a nessuno.

Ma io a Waf ci lavoravo già da alcuni anni, quando con suor Cristina, l’arcivescovo di Port au Prince ci aveva chiesto dove ci sarebbe piaciuto lavorare e noi piene di entusiasmo e con l’incoscienza di quindici anni di meno, avevamo risposto Waf Jeremie, in mezzo ai dimenticati, là dove nessuno vuole andare.

E quindi dopo il terremoto, grazie agli aiuti arrivati dall’Italia e non solo, mi sono rimboccata le maniche e sono partita per quella grande avventura che verrà poi chiamata il Vilaj Italyen e che continua ad essere una grande avventura di bene per tutti quelli che, in un modo o in un altro, la incontrano.
Il Refettorio Santa Chiara, nasce pochi giorni dopo il terremoto, un modo per rispondere prontamente alla distruzione totale che si respirava e si vedeva intorno a noi. I sopravvissuti cercavano parenti ed amici dispersi vagando per ospedali e fosse comuni, i meno onesti assaltavano negozi e bancarelle abbandonate, saccheggiando ogni tipo di cosa che trovavano, tutti cercavano un modo per sopravvivere.

A Waf in tanti non sono tornati, rimasti sotto le macerie chissà dove, e la disperazione per l’insicurezza rispetto al futuro la faceva da padrona. Non c’era cibo né acqua, nessun aiuto arrivava a Waf, troppo pericoloso e fuori dagli schermi televisivi.
Una tenda dell’Unicef donataci da un padre missionario italiano, montata dagli uomini della Protezione Civile Italiana, sarà il primo punto di raccolta bambini a Waf. Una possibilità di metterli insieme e farli giocare non per far finta che non sia successo nulla, ma per aiutarli a guardare in faccia a quanto successo con coraggio e speranza. Ma subito si fa avanti una domanda: e cosa mangiano questi bambini? Cosi una seconda tenda dell’Unicef con pochi tavoli instabili di legno permetterà ai bambini di mangiare a rotazione: una lunga fila cominciando dai più piccoli piano piano avanza, entrano i primi cinquanta, mangiano ed escono dall’uscita posteriore permettendo alla lunga fila di procedere: alri cinquanta entrano e cosi via via. Ogni giorno per alcuni mesi circa 700 bambini di Waf Jeremie hanno potuto avere un pasto.
Ma le scatolette del cibo americano non sono il massimo. Cominciano ad arrivare riso, fagioli, olio, mais. Serve una cucina.

In poche ore i pompieri italiani costruiscono una cucina di legno, comprano per noi autotassandosi i fornelli e due donne di Waf cominciano a cucinare per i piccoli.
La Protezione Civile non resta indietro e costruisce un serbatoio per l’acqua con un lavandino in plastica dove lavare piatti, bicchieri e pentole a fine giornata. È quasi una magia per tanti vedere l’acqua uscire dal rubinetto la prima volta!!!
Ma gli uomini della Croce Rossa Italiana, con i suoi vecchi alpini tutto cuore si mettono in moto e nel giro di qualche settimana la tenda refettorio viene rimossa ed una costruzione in legno e cemento prende il suo posto. Ora i bimbi possono mangiare solo in due turni ed in maniera più dignitosa.

Il refettorio Santa Chiara andrà avanti per diversi mesi, fino a quando la scuola Rèn de Lapè aprirà i suoi battenti e darà ai 700 bambini due pasti al giorno.